L’ ansia è un emozione caratterizzata da sensazioni di tensione, minaccia, preoccupazioni e modificazioni fisiche, come aumento della pressione sanguigna.
Ansia: definizione e significato
L’ansia è un emozione caratterizzata da sensazioni di tensione, minaccia, preoccupazioni e modificazioni fisiche, come aumento della pressione sanguigna.
Le persone con Disturbi d’Ansia solitamente presentano pensieri ricorrenti e preoccupazioni. Inoltre, possono evitare alcune situazioni come tentativo di gestire (o non affrontare) le preoccupazioni. I sintomi fisici dell’ansia più frequenti sono sudorazione, tremolio, tachicardia e vertigini/capogiri.
La parola ansia, dal latino angere ossia “stringere”, comunica molto bene la sensazione di disagio vissuta da chi soffre di uno dei disturbi legati al suo spettro, ovvero l’idea di costrizione, di imbarazzo e di incertezza sul futuro. L’ansia, infatti, è uno stato caratterizzato da sentimenti di paura e di preoccupazione non connessi, almeno apparentemente, ad alcuno stimolo specifico, diversamente dalla paura che presuppone un reale pericolo. L’American Psichiatric Association (1994), la descrive come:
“L’anticipazione apprensiva di un pericolo o di un evento negativo futuro, accompagnata da sentimenti di disforia o da sintomi fisici di tensione. Gli elementi esposti al rischio possono appartenere sia al mondo interno che a quello esterno” (APA, 1994; cit. in: Franceschina et al., 2004, p. 213).
Ansia: storia del termine
Gli antichi greci la chiamavano melanconia e pensavano derivasse da un eccesso di bile nera presente nell’organismo. Tale idea, sostenuta da Ippocrate e accettata da Aristotele, era curiosamente curata con il vino, rimedio naturali ai sintomi fisiologici manifestati. Solo dal Medioevo in poi l’ansia fu concepita come malattia mentale e dello spirito, alla quale la religione può porre rimedio attraverso la redenzione dei peccati del paziente. Sebbene durante l’Illuminismo si svilupperà la ricerca medico-biologica, molti rimedi come decotti, salassi, impiego di oppio e pietre preziose, continueranno a ricoprire un ruolo primario nel trattamento dei sintomi ansiosi tra la popolazione. Solo dall’800 in poi l’ansia sarà progressivamente concepita come una malattia mentale da curare con i farmaci e tramite psicoterapia, da intendersi etimologicamente come “terapia dell’anima”.
Differerenza tra ansia e paura: distinguerle e capirne il valore
L’ansia è diversa dalla paura, poiché la paura è una reazione funzionale ad affrontare un pericolo immediato mentre l’ansia si pone come obiettivo l’affrontare una preoccupazione sulla verificabilità di un evento futuro. Gli psicologi sottolineano questo aspetto di “immediatezza” tipico della paura, in contrasto con l’atto di “previsione” che caratterizza l’ansia. E’ bene sottolineare come l’ansia e la paura non siano necessariamente sensazioni “cattive”, ma al contrario abbiano un ruolo adattivo. La paura, infatti, è fondamentale nella risposta di “attacco o fuga”, che ci permette di mobilitare tutte le nostre risorse per affrontare la minaccia o, in alternativa, fuggire da essa. Per questo motivo nelle giuste circostanze una reazione di paura può salvarci la vita. Allo stesso modo, l’ansia ci aiuta ad individuare minacce future e a premunirci contro di esse, progettando ipotetici scenari nei quali potremmo essere coinvolti e, in quel caso, dovremmo affrontare la situazione temuta. Come infatti ci insegna la legge di Yerkes e Dodson (1908), un giusto grado di ansia (quindi non eccessivo) ci permette di essere più performanti rispetto a quando siamo tranquilli. Tuttavia nell’uomo, ma anche negli animali, l’ansia travalica spesso dai suoi aspetti adattivi, cioè utili, ad altri non adattivi, in quanto le reazioni ansiose sono generalizzate a una serie di situazioni ‘neutre’.
I disturbi d’ansia: quando il disagio diventa clinicamente rilevante
Stando alle indicazioni fornite nel Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (quinta edizione; DSM–5; American Psychiatric Association, 2013), i disturbi d’ansia differiscono dalla normale paura o ansia evolutive perché sono eccessivi o persistenti (durano tipicamente 6 mesi o più) rispetto allo stadio di sviluppo.
Molti disturbi d’ansia si sviluppano in età infantile e tendono a persistere quando non curati. La maggior parte è più comunemente diffusa nella popolazione femminile, con un rapporto di 2:1 rispetto ai maschi. E’ inoltre bene sottolineare che, secondo i criteri del DSM-5, ogni disturbo d’ansia è diagnosticato solo quando i sintomi non sono attribuibili agli effetti fisiologici di una sostanza/farmaco o a un’altra condizione medica, oppure non sono meglio spiegati da un altro disturbo mentale. Riportiamo in un breve elenco i disturbi d’ansia categorizzati dal DSM-5 con la relativa prevalenza nella popolazione generale (APA, 2013):
- Disturbo d’ansia di separazione (bambini: 4%; adolescenti: 1,6%)
- Mutismo selettivo (tra 0,03 – 1%)
- Fobia specifica (USA: 7 – 9% ; Europa: intorno al 6%; paesi asiatici, africani e latinoamericani: 2 – 4%)
- Disturbo d’ansia sociale (fobia sociale) (USA: 7%; Europa: 2,3%)
- Disturbo di Panico (USA e alcuni paesi europei: 2.3%; paesi asiatici, africani e latinoamericani: 0,1 – 0,8%)
- Agorafobia (1,7%)
- Disturbo d’ansia generalizzata (USA: 2,9%, altri paesi: 0,4 – 3,6%)
- Disturbo d’ansia indotto da sostanze/farmaci (0,002%)
- Disturbo d’ansia dovuto a un’altra condizione medica (n.s.)
- Disturbo d’ansia con altra specificazione (n.s.)
- Disturbo d’ansia senza specificazione (n.s.)
I sintomi dell’ansia
L’ansia si manifesta attraverso forme di tipo fisiologico:
- aumento del battito cardiaco.
- aumento della concentrazione per affrontare la minaccia.
- attacco – fuga.
Nel dettaglio, la sintomatologia ansiosa, che si manifesta con maggiore gravità nel Disturbo di Panico, comprende: palpitazioni, cardiopalmo o tachicardia, aumento della sudorazione, tremori fini o a grandi scosse, dispnea o sensazione di soffocamento, sensazione di asfissia, dolore o fastidio al petto, nausea o disturbi addominali, sensazioni di vertigine, di instabilità, di “testa leggera” o di svenimento, brividi o vampate di calore, parestesie (sensazioni di torpore o di formicolio), derealizzazione (sensazione di irrealtà) o depersonalizzazione (essere distaccati da se stessi), paura di perdere il controllo o “impazzire” e paura di morire.
I sintomi dell’ansia in questione, come anticipato, compaiono tra i criteri diagnostici del Disturbo di Panico nel DSM-5, quindi non necessariamente si presentano in tutti i pazienti che soffrono di ansia e comunque possono declinarsi diversamente a seconda del soggetto in questione. E’ lecito parlare di attacco di panico quando il soggetto esperisce un’improvvisa paura o disagio intensi che raggiungono il picco in pochi minuti, accompagnati da quattro o più dei sintomi sopraelencati.
Il disturbo d’ansia generalizzata
Per quanto riguarda il Disturbo d’Ansia Generalizzata (DAG), esso si caratterizza per ansia e preoccupazione (attesa apprensiva) eccessive, che si manifestano per la maggior parte dei giorni per almeno 6 mesi, relative a una quantità di eventi o di attività (come prestazioni lavorative o scolastiche) (APA, 2013), generalizzata appunto. L’individuo ha difficoltà nel controllare la preoccupazione e l’ansia, che si reputa eccessiva per intensità, durata o frequenza rispetto alla realtà probabilità o impatto dell’evento temuto, si associa a tre o più dei seguenti sintomi: irrequietezza (sentirsi tesi, con i nervi a fior di pelle), affaticamento, difficoltà a concentrarsi o vuoti di memoria, irritabilità, tensione muscolare e alterazioni del sonno (difficoltà ad addormentarsi o a mantenere il sonno, o sonno irrequieto e insoddisfacente).
Ciò che permette di tracciare un confine tra patologico e non, è la dimensione eccessiva delle preoccupazioni e l’impatto negativo che sortiscono sul funzionamento psicosociale dell’individuo. Rispetto al Disturbo di Panico, inoltre, il disturbo d’ansia generalizzata è caratterizzato da sintomi ansiosi edulcorati nella loro intensità ma protratti nel tempo e, quindi, parimenti debilitanti. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità soffre di disturbo d’ansia generalizzato il 5% della popolazione mondiale, soprattutto donne. Solo un terzo di chi ne soffre, tuttavia, si rivolge ad uno specialista della salute mentale, in quanto i sintomi fisici dell’ansia spesso portano i pazienti a rivolgersi ad altre figure professionali (es. medico di base, internista, cardiologo, pneumologo, gastroenterologo).
Il disturbo d’ansia sociale
Il Disturbo d’Ansia Sociale (o Fobia Sociale), invece, si caratterizza per una paura o ansia marcate relative a una o più situazioni sociali nelle quali l’individuo è esposto al possibile esame degli altri. Gli esempi comprendono interazioni sociali (per es., avere una conversazione, incontrare persone sconosciute), essere osservati (per es., mentre si mangia o si beve) ed eseguire una prestazione di fronte ad altri (per es., fare un discorso) (APA, 2013).
Ciò che realmente teme l’individuo è la possibilità di agire in modo tale da manifestare i suoi sintomi d’ansia, che saranno valutati negativamente (perché imbarazzanti, umilianti, porteranno al rifiuto o risulteranno offensivi per altri). Come in molti disturbi d’ansia, le situazioni ansiogene sono evitate o sopportate con disagio dal paziente.
La paura, l’ansia e l’evitamento per porre diagnosi di ansia sociale devono durare più di 6 mesi e devono risultare sproporzionate rispetto alla reale minaccia posta dalla situazione. I soggetti che ne soffrono, inoltre, possono risultare anassertivi o eccessivamente remissivi, possono evitare il contatto visivo e parlare a voce bassa; possono inoltre risultare timidi, essere meno aperti nelle conversazioni e rivelare poco di sé stessi.
Ansia e altre patologie
E’ bene, infine, menzionare le patologie frequentemente in comorbilità con i disturbi d’ansia. Con questo termine nel linguaggio medico e psichiatrico si intende la compresenza di un’ulteriore patologia, solitamente di diversa origine, durante il decorso clinico di quella considerata. Ad esempio potremmo diagnosticare un disturbo d’ansia in comorbilità al disturbo da deficit di attenzione/iperattività o ADHD.
Le malattie che più frequentemente si associano ai disturbi d’ansia sono: depressione (soprattutto), disturbi bipolari, ADHD, patologie respiratorie, cardiache e gastrointestinali, artrite e ipertensione (Sareen et al., 2006). E’ inoltre stato osservato come pazienti con altre malattie in comorbilità ai disturbi d’ansia evidenzino un peggiore decorso del disturbo e una qualità di vita inferiore rispetto a pazienti colpiti unicamente da un disturbo d’ansia (Sareen et al., 2006).
Queste informazioni rispetto alla comorbilità dei disturbi d’ansia sono di fondamentale importanza ad esempio per stabilire quali farmaci impiegare e quali no. Un esempio calzante potrebbe riguardare l’uso degli SSRI (selective serotonin reuptake inhibitors), farmaci di sovente impiegati per il trattamento della depressione, ma anche dei disturbi d’ansia, nei pazienti cardiopatici; questi farmaci, infatti, sono ritenuti il trattamento di elezione per questi pazienti, dato che gli antidepressivi triciclici (TCA) risultano cardiotossici.
Trattamento e cura dell’ansia
Il trattamento dell’ansia nell’ambito delle psicoterapie cognitivo-comportamentali comporta l’eliminazione o la riduzione del sintomo, e successivamente il raggiungimento di un adeguato adattamento dell’individuo all’ambiente utilizzando tecniche comportamentali e tecniche di ristrutturazione cognitiva. Il trattamento per la cura dell’ansia prevede un lavoro di ricerca e valutazione delle aspettative e degli schemi cognitivi abituali e di una conseguente ricerca di schemi alternativi e più funzionali (Bracconnier, 2003).
Nello specifico, negli ultimi è stato dato in questo campo molto spazio sia alla terapia metacognitiva che alla terapia focalizzata sull’intolleranza dell’incertezza ovvero la terapia cognitiva standard.
Terapia metacognitiva per la cura dell’ansia
La prima si focalizza sui fattori che contribuiscono allo sviluppo del disturbo, tra cui le credenze negative riguardo la pericolosità e l’incontrollabilità del rimuginio, le credenze metacognitive positive riguardo il rimuginio come modalità di coping efficace e alcuni aspetti comportamentali come i tentativi di evitare il rimuginio e di controllo dei propri pensieri.
Psicoterapia cognitiva dell’ansia
La seconda, invece, interviene sulla diminuzione dell’ansia e del rimuginio aiutando i pazienti a migliorare la capacità di tollerare, affrontare e accettare l’inevitabile incertezza della quotidianità (Dugas & Robichaud, 2007). Le strategie e le tecniche utilizzate includono ad esempio i training di consapevolezza dei propri stati ansiosi, le esposizioni in vivo e immaginative, le ristrutturazioni cognitive delle credenze irrazionali e gli esercizi di problem-solving.
Bibliografia di riferimento:
- American Psychiatric Association (2013). Diagnostic and statistical manual of mental disorders (5th ed.). Washington, DC: Author.
- Sareen, J., Jacobi, F., Cox, B. J., Belik, S. L., Clara, I. & Stein, M. B. (2006). Disability and poor quality of life associated with comorbid anxiety disorders and physical conditions. Archives of Internal Medicine, 166(19), 2109-2116.
- Yerkes RM, Dodson JD (1908). “The relation of strength of stimulus to rapidity of habit-formation”. Journal of Comparative Neurology and Psychology 18: 459–482. doi:10.1002/cne.920180503.
- Braconnier A., Piccoli o grandi ansiosi? Come trasformare l’ansia in una forza, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2003
- Dugas, M. J., & Robichaud, M. (2007).Cognitive-behavioral treatment for generalized anxiety disorder: From science to practice. New York/London: Routledge
Per saperne di più: https://www.stateofmind.it/tag/ansia/